Che l’accordo sottoscritto a maggio non avrebbe garantito né equità, né stabilità per i lavoratori Almaviva era nell’ordine delle cose. Sin dall’avvio delle procedure di licenziamento (marzo 2016), la vertenza Almaviva, che a detta dei Sindacati confederali doveva avere carattere nazionale e di settore, veniva declinata nella pratica sindacale con iniziative del tutto frammentarie e per singoli territori (nessuna mobilitazione nazionale, nessuna mobilitazione dell’intero settore). Già questo non faceva presagire nulla di buono. Tuttavia difficilmente (ma non troppo) si poteva immaginare quel triste epilogo che tutti i lavoratori conoscono: la sottoscrizione di un accordo peggiore nei contenuti della proposta sindacal-aziendale bocciata dai lavoratori tramite referendum circa un mese prima.
In quell’accordo, principalmente, non veniva recepito ciò che i lavoratori delle varie sedi avevano chiesto a gran voce durante le varie mobilitazioni: una equa distribuzione della CdS su tutte le sedi. Oltre all’applicazione della CdS sulle sole tre sedi di Roma, Napoli e Palermo, veniva sottoscritto il blocco delle commesse e dei volumi tra i vari siti (ciò ha permesso all’azienda di non dover procedere ad un riequilibrio dei volumi) e la garanzia della sottoscrizione, da parte dei sindacati firmatari, di un accordo sul controllo individuale delle prestazioni lavorative. I risultati di quell’accordo sono sotto gli occhi di tutti. Il peso economico della crisi aziendale è stato pagato dai soli lavoratori di Napoli, Roma e Palermo con sostanziose decurtazioni salariali; peggioramento delle condizioni di lavoro (CdS ogni 15 giorni revocabile con preavviso di 24 ore, “formazione” CdS orizzontale senza preavviso); la possibilità per l’azienda di ricattare i lavoratori: o un accordo sul controllo a distanza che peggiorerà le nostre condizioni di lavoro e che metterà a rischio la nostra salute psico-fisica, oppure la riapertura delle procedure di licenziamento; nessuna garanzia del piano triennale di ammortizzatori sociali che sindacato e Governo avevano assicurato!
Quest’ultimo aspetto era stato a suo tempo già messo in evidenza: l’accordo sottoscritto a maggio non garantiva nessun automatismo relativamente all’apertura dei vari ammortizzatori sociali (CIGS in deroga e FIS), in quanto ognuno di essi necessiterà di una trattativa e relativa intesa specifica. Nei fatti, nessuna garanzia dei millantati 18 mesi di CIGS!
In tutta la faccenda si inserisce la questione della “deportazione” dei 150 colleghi di Palermo che, a nostro avviso, è direttamente collegata alle clausole sociali, volute fortemente da CGIL-CISL-UIL-UGL, i cui effetti funesti si sono già manifestati con la vertenza Gepin (riduzione di salario e diritti e niente art. 18). L’azienda sta usando i trasferimenti a Rende come leva per far applicare le clausole sociali e potersi così “liberare” di 150 lavoratori a costo zero! Ovviamente i Sindacati si sono già resi disponibili ad attivarsi a tale scopo.
Sin da subito è necessaria sia una risposta dei lavoratori Almaviva di tutte le sedi contro il trasferimento dei 150 colleghi di Palermo,
sia una mobilitazione di tutti i lavoratori del settore per impedire un accordo sul controllo individuale in Almaviva che farebbe da apripista per l’intero settore!
COBAS Almaviva Roma – Rende