Dall’epoca della scellerata privatizzazione di Telecom Italia, allora una tra le maggiori aziende di Telecomunicazioni a livello internazionale, denunciamo costantemente una politica, anzi un’assenza di politica industriale, che a fronte di elevatissimi profitti macinati nell’ultimo ventennio, ha prodotto solo precarietà e peggioramento delle condizioni di lavoro degli addetti del settore. Con il completo abbandono dell’ultima Golden Share, lo stato Italiano lasciò alla “sensibilità” del privato un interesse collettivo.
Sappiamo come è finita: un sistematico spolpamento di un’azienda con infinite potenzialità e soprattutto con le migliori professionalità del campo.
Negli ultimi giorni si sta riaprendo il dibattito, a noi tanto caro, sull’intervento del pubblico, tramite Cassa Depositi e Prestiti, in Telecom Italia. Certo, non nasce per garantire salario e diritti agli oltre 50mila dipendenti (senza contare le decine di migliaia dell’indotto) ma, si apre “grazie” alla scalata finanziaria di Vivendi a Mediaset.
Indiscrezioni giornalistiche al momento, trapelate dal quotidiano “la Stampa”, che da giorni stanno rimbalzando da una testata all’altra, hanno avuto il merito di centrare la questione più importante: Telecom Italia e le telecomunicazioni sono un asset strategico.
Come Cobas ci spendiamo da anni su questa scelta di politica industriale, perché, riassumendola in pochi punti, determinerebbe uno scenario completamente nuovo:
1) L’entrata della Cdp in TIM, determinerebbe una sostanziale variazione della composizione del CDA: il nuovo ed “ingombrante” azionista di riferimento, che non ha natura finanziaria o speculativa, entrerebbe per dare impulso agli investimenti nella infrastruttura tanto necessaria al Paese.
2) Questi investimenti avrebbero un duplice vantaggio: da una parte si utilizzerebbero i milioni messi a disposizione dal Governo per il digital divide (3 miliardi di € da spartirsi negli appalti con ENEL) e dell’altra parte sarebbe garantita la remunerazione con i dividendi delle azioni che, abbasserebbero i costi per lo Stato.
3) La gestione diretta di un piano industriale mirato e necessario sulle infrastrutture di rete, dopo almeno 20 anni, ci porterebbe finalmente fuori dalle speculazioni puramente finanziarie che i vari TOP Manager e Cda hanno messo in campo con l’unica attenzione per le oscillazioni di borsa e per il loro personalissimo tornaconto. Gestioni che hanno saputo accumulare profitti attaccando ferocemente i salari e l’occupazione, oltretutto facendo ricadere sulla collettività i costi di tali operazioni con mobilità e contratti di solidarietà.
Dal 2013, all’indomani dell’accordo del 27 marzo , ci siamo messi a lavorare, per capire come uscire dalla palude del debito e delle scalate finanziarie che anno dopo anno, impoverivano sempre di più l’azienda, ma soprattutto i lavoratori e le lavoratrici nonché gli utenti del servizio di telecomunicazioni. Grazie alla collaborazione di esperti economisti, costituzionalisti e tanto lavoro d’inchiesta, arrivammo alla chiara consapevolezza che se questo paese si è arenato anche da un punto di vista tecnologico, scontando gap con paesi con molte meno risorse, la responsabilità ricade nel completo abbandono del pubblico, ovvero dell’indirizzo di intervento di una politica economica soprattutto nelle infrastrutture.
Il dossier presentato allora, in un convegno alla Camera, suscitò l’interesse di diversi parlamentari, inizialmente increduli ma poi, convinti dall’ineluttabilità dei nostri ragionamenti, si sono arresi di fronte all’immobilismo politico e sindacale, per lo più dovuto all’ignoranza in materia ancor prima che da una precisa scelta politica.
Ma i fatti hanno “la testa dura”. Cosi, ciclicamente torniamo a parlare di “TELECOM ITALIA UNICA E PUBBLICA”, perché, anche i più entusiasti partigiani delle privatizzazioni, sanno che senza la responsabilità dell’interesse collettivo le infrastrutture non nascono.
Quindi, le novità in queste feste sono importanti: la straordinaria mobilitazione dei lavoratori e delle lavoratrici, che si vuole tenere sotto traccia e le voci che trapelano sull’intervento di CdP.
Inoltre forse, abbiamo scoperto, il motivo di tanta “benevolenza”. Infatti, proprio il 13 dicembre in una riunione della Commissione Europea con le equivalenti della Cdp nostrana, di Germania e Francia, è stato lanciato un progetto di “Sostegno agli investimenti”, pari a 1 miliardo a partire dal 2017, proprio per lo sviluppo della banda larga in particolare nei comuni meno appetibili per le grandi aziende. Si potrebbe spiegare quindi, l’eventualità di investire direttamente in un operatore del settore montagne di denaro che altrimenti verrebbero gestite come per Infratel, in una lunga catena di appalti e subappalti che eroderebbero non poco la concretezza dell’investimento.
Certamente siamo coscienti che, sebbene le condizioni oggettive imporrebbero la decisione di un intervento pubblico, gli “attori” in campo non sono del tutto convinti o osteggiano come nel caso di Vivendi questa ipotesi, che porterebbe ad uno scontro sul piano industriale tra chi ha l’obiettivo di un’ennesima speculazione finanziaria e chi ha l’obiettivo di colmare il digital divide nei prossimi 5/10 anni per il futuro del paese.
Oggi più che mai, riteniamo sia imprescindibile inserire nella piattaforma rivendicativa della vertenza Contratto CCNL/Contratto TIM la necessità di un’entrata nell’azionariato del capitale pubblico certamente non per salvaguardare le buonuscite di chi è capace solo a tagliare diritti e stipendi delle famiglie, ma per difendere i nostri posti di lavoro con il lavoro, la professionalità e una proposta buona per tutto il paese.
TELECOM ITALIA UNICA E PUBBLICA!